Ben ha 15 anni. È chiuso e arrogante: una bomba a mano che non riesce nemmeno a esplodere. I suoi genitori non sanno come prenderlo. Lui vorrebbe solo che sparissero. Una mattina suo padre lo mette su un pullman e lo saluta con pochissime parole: «Questa non è una vacanza. È una scuola di vita. Sono sicuro che al tuo ritorno avrai tante cose belle da raccontarci. Addio».
Ben finisce in un istituto per ragazzi con disabilità. Insieme a un educatore, Demetrio, deve occuparsi di Carlotta, Achille, Gilda e Milo. Escono tutti insieme, con la prospettiva di un pomeriggio tranquillo, ma improvvisamente la situazione precipita: due sconosciuti litigano con Demetrio e lo feriscono.
Ben, che assiste alla scena, prende il furgone e fugge con i ragazzi, inseguito dagli aggressori. Seguono momenti concitati: l’adrenalina della fuga, uno scontro a fuoco, l’oscurità di un bosco di notte. I ragazzi sono in difficoltà: Carlotta non smette di protestare, Gilda fatica a stare al passo, Achille non è autonomo e Milo sembra sempre sul punto di rompersi. È il coraggio di Ben a trascinare tutto il gruppo fuori dal pericolo. Nel buio di quel bosco, una consapevolezza inaspettata lo illumina: quei ragazzi indifesi si fidano di lui. Il figlio difficile e tenebroso si è fatto amico attento, protettivo e affettuoso. Dove prima c’era il vuoto, ora c’è un ponte. Per la prima volta, con un alfabeto sconosciuto, Ben e i ragazzi stanno comunicando davvero.